Autobiografia, Narrativa, Narrativa biografica, Recensioni del Gatto in Libreria

LA CAMPANA DI VETRO, Sylvia Plath

Recensione di “La campana di vetro”


Autrice: Sylvia Plath

Casa editrice: Mondadori

Genere: narrativa autobiografica

Pagine: 219

Prima pubblicazione: 1963

Titolo originale: The bell jar

Gradimento personale: 5/5 ⭐️

«Lo sai che cos’è una poesia, Esther?».

«No, che cos’è?» dicevo io.

«Polvere.»

Poi, mentre lui sorrideva, cominciando a tirare fuori quella sua aria di superiorità, io dicevo: «Anche i cadaveri che tagliuzzi tu. Anche la gente che credi di curare: polvere sono, polvere, nient’altro che polvere. E una vera poesia dura molto ma molto più a lungo di cento dei tuoi pazienti messi insieme.»

La campana di vetro, pag. 48

“La campana di vetro” è uno di quei romanzi dolorosi quanto essenziali, strazianti quanto bellissimi. Leggere queste pagine è infilarsi, parola dopo parola, uno stiletto nel cuore.

Lo stile di Plath è estremamente delicato, affascinante, poetico e in vivo contrasto con la tematica che racconta, ovvero il suo ricovero all’ospedale psichiatrico in seguito a un tentato suicidio. Seppur certi aspetti di questa storia siano romanzati, le vicende narrate sono accadute realmente all’autrice e questo conferisce ulteriore potenza a un libro che, anche senza questa chiave di lettura, riesce ad affrontare con cinica precisione le tenebre della psiche umana.

Vedevo i giorni dell’anno come una lunga fila di scatole bianche luminose, separate l’una dall’altra dall’ombra nera del sonno. Solo che per me la lunga prospettiva di ombre che distinguevano una scatola dalla successiva si era improvvisamente spezzata, e la serie interminabile di giorni mi si apriva davanti abbagliante come un grande viale bianco di desolazione infinita.

La campana di vetro, pag. 106 – 107

“La campana di vetro” è un romanzo che affonda nelle tenebre e che, dal profondo di esse, descrive tutto ciò che è possibile percepire e intravvedere riuscendo a raccontare (ma di certo non a spiegare) come sia soffire di disturbo depressivo. Incantevole ed efficace è anche la stessa metafora di questa condizione che da anche il titolo all’intero romanzo.

Mi abbandonai all’indietro sul sedile di felpa grigia e chiusi gli occhi. L’aria della campana di vetro mi premeva intorno come bambagia e io non avevo la forza di muovermi.

La campana di vetro, pag. 153
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Fantasy, Narrativa, Recensioni del Gatto in Libreria

IL GATTO CHE VOLEVA SALVARE I LIBRI, Sosuke Natsukawa

Prima di partire in quarta con la nostra bella recensione, ci tenevo a fare a tutti i miei migliori, e ritardatari, auguri di buon Natale! Mi auguro che ieri sia andato tutto per il meglio e che anche oggi possiate passare un felice Santo Stefano.

Bene, dopo questa nota di dolcezza, direi che possiamo andare a massacrare questo libro.

Recensione di “Il gatto che voleva salvare i libri”


Autore: Sosuke Natsukawa

Casa editrice: Mondadori

Genere: narrativa giapponese, romanzo fantastico

Pagine: 177

Prima pubblicazione: 2020

Titolo originale: 本を守ろうとする猫の話

Gradimento personale: 2/5 ⭐️

Una pelliccia di tre vividi colori, una folta coda, degli occhi brillanti e penetranti, e due orecchie a forma di triangolo isoscele. Era un gatto a tutti gli effetti. I suoi baffi ebbero un rapido e quasi impercettibile fremito. “Hai per caso problemi di vista, ragazzino?” chiese senza tanti complimenti.

“Be’, insomma…” farfugliò Rintaro “non è che io sia proprio un’aquila, ma fino a vedere che davanti a me c’è un gatto parlante ci arrivo!”

Il gatto che voleva salvare i libri, pag. 19

Leggere questo libro è stata dura, non tanto per lo stile o per la storia, ma per i messaggi (a mio avviso banali ed erronei) che questo romanzo voleva trasmettere.

Ma iniziamo dagli aspetti positivi. La storia, di per sè, era carina e dalle tinte quasi fiabesche. Dopo la morte di suo nonno, Rintaro, un ragazzo estremamente introverso e amante dei libri, incontra un petulante gatto parlante che lo recluterà per la sua curiosa missione, quella di salvare i libri che vengono maltrattati. Tali maltrattamenti sono: il leggerli di fretta e accumulati, il tagliuzzati per accorciarli, oppure lo stamparli solo per buttarli il prima possibile nel mercato editoriale. Altra nota positiva è lo stile che ho trovato estremamente gradevole e apprezzabile… anzi, devo dire che è stata la mia unica ancora di salvezza durante la lettura.

Spezzate tutte le lance a favore, passiamo (anche se brevemente, per non fare spoiler agli eventuali futuri lettori) agli aspetti che personalmente, specifichiamolo, proprio non mi sono piaciuti. Questo romanzo voleva essere una sorta di celebrazione alla lettura e ai libri, ma nella maggior parte dei casi quelle che offriva erano riflessioni abbastanza banali, scontate e che ho trovato spesso stereotipate. Solo in pochissimi casi mi sono ritrovata ad apprezzare ciò che stavo leggendo.

Ho letto diverse recensioni di questo romanzo e ho notato che sono molti i lettori che hanno avuto le mie stesse impressioni… e devo dire che fa decisamente sorridere vedere come un libro il cui intento era quello di esaltare la lettura abbia in realtà fatto penare tanto il proprio pubblico di lettori…

Autobiografia, Narrativa biografica, Recensioni del Gatto in Libreria

MA COME FANNO I PESCI ROSSI A GIRARE IN UNA BOCCIA DI VETRO SENZA IMPAZZIRE?, Maurizio Sbordoni

Recensione di “Ma come fanno i pesci rossi a girare in una boccia di vetro senza impazzire?”

Autore: Maurizio Sbordoni

Casa editrice: stocazzo editore

Genere: autobiografia

Pagine: 230

Prima pubblicazione: 2019

Titolo originale: Ma come fanno i pesci rossi a girare in una boccia di vetro senza impazzire?

Gradimento personale: 4,5/5 ⭐️

Fisso, per la prima volta in vita mia, quelle minuscole vite colorate dotate di branchie e mi sento fortunato. Sono povero da una manciata di minuti, ma almeno non sono costretto a vivere dentro una scatola di vetro. Ma come fanno a vivere lì? Ci riescono perché i pesci rossi hanno una memoria di tre secondi, riescono a ricordare solo le cose avvenute in quel minuscolo lasso di tempo. Per questo sono in grado di vivere in una boccia di vetro come questa. Dimenticano di continuo dove sono. L’uomo invece ricorda, e anche quello che pensa di aver dimenticato alle volte riaffiora all’improvviso, sepolto chissà dove.

Ma come fanno i pesci rossi a girare in una boccia di vetro senza impazzire?, pag. 52

“Ma come fanno i pesci rossi a girare in una boccia di vetro senza impazzire?” è un romanzo autobiografico che racconta la discesa verso la schizofrenia di Silvana, la suocera dell’autore. Abbiamo a che fare con un libro incredibilmente spontaneo e sincero, la voce dello scrittore trapassa la carta e arriva direttamente all’orecchio del lettore, senza filtri, quasi come fosse un amico di vecchia data venuto a fare una visita a sorpresa. Tutto ciò genera un clima intimo, toccante, confidenziale e carico di una forte potenza emotiva.

Maurizio non è un medico, uno psicologo o una qualsiasi figura competente in questo settore (quello della follia), ma è un uomo qualunque ritrovatosi per puro caso imprigionato in una tragedia più grande di lui: la malattia mentale di un parente. Maurizio potrebbe essere il tuo migliore amico, il tuo collega, il tuo vicino di casa, oppure semplicemente un passante casuale sotto la finestra del tuo appartamento… potrebbe essere chiunque, ma allo stesso tempo non è nessuno di loro perché quella che racconta è un’esperienza talmente tanto intima e sentita che può essere solo sua, ma raccontata con talmente tanta naturalezza che potrebbe essere quella di qualsiasi essere umano trovatosi nella sua stessa condizione.

Nonostante la natura tragica del libro, non aspettatevi solo lacrime da questa lettura (anche se, vi posso assicurare, in certe pagine saranno inevitabili). Lo stile agrodolce di Sbordoni è capace di strappare tante risate quante riflessioni… oserei definire la sua ironia cinica e pungente, capace di, se non di sconfiggere, almeno fronteggiare a testa alta la malattia che si è abbattuta in casa sua.

“Ma come fanno i pesci rossi a girare in una boccia di vetro senza impazzire?” è una lettura che mi ha sorpresa molto in positivo e che mi sento vivamente di consigliare.

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IO E DEWEY, Vicki Myron e Bret Witter

Recensione di “Io e Dewey”

Autori: Vicki Myron e Bret Witter

Casa editrice: Sperling & Kupfer

Genere: narrativa contemporanea, biografia

Pagine: 279

Prima pubblicazione: 2008

Titolo originale: Dewey

Gradimento personale: 4,5/5 ⭐️

Dewey era un gatto fortunato. Invece di morire assiderato nella cassetta dei libri in restituzione, si era aggiudicato una vita da favola. Ma anche Spencer era fortunata, perché Dewey non sarebbe potuto entrare nelle nostre vite in un momento migliore. Quell’inverno non fu soltanto freddissimo, segnò anche uno dei periodi peggiori nella storia di Spencer.

Io e Dewey, pag. 23

Durante le prime decine di pagine questo romanzo mi è parso molto banale, piatto, scontato, decisamente troppo semplice per i miei gusti, ma poi mi sono dovuta ricredere. Dopo un’introduzione che oserei definire quasi caramellosa, “Io e Dewey” si tinge di sfumature più inquiete e decisamente più veritiere, facendo assumere al testo e ai suoi personaggi una tridimensionalità che prima era poco visibile.

Da picchi di infinita gioia, speranza e tenerezza si passa a baratri angosciosi e inquieti per poi fare dietrofront e ricominciare da capo. Un’altalenarsi di momenti lieti e momenti cupi, esattamente così com’è la vita, ma senza mai perdere quella vena ottimista e speranzosa che ha caretterizzato dell’autrice protagonista (la bibliotecaria Vicki Myron) fin dalle primissime pagine.

“Io e Dewey” è il classico libro per tutta la famiglia che ha sparse qua e là quelle caratteristiche che lo rendono appetibile a un pubblico molto vasto: momenti di cucciolosa tenerezza per i più piccoli, storie di vita passata per i nonni e spaccati di tragicità per tutti gli altri. E direi che nel suo intento è riuscito vivamente, infatti è una lettura che mi sento di consigliare a chiunque (ma soprattutto agli amanti dei gatti).

Narrativa, Recensioni del Gatto in Libreria

SE BRUCIASSE LA CITTÀ, Massimiliano Smeriglio

Recensione di “Se bruciasse la città”

Autore: Massimiliano Smeriglio

Casa editrice: Giulio Perrone Editore

Genere: narrativa contemporanea

Pagine: 287

Prima pubblicazione: 2021

Titolo originale: Se bruciasse la città

Gradimento personale: 3/5 ⭐️

– Benvenuto nel club dei numeri dispari –

– Che roba è? –

– Er prete ce chiamava così, i dispari, perchè le case nostre stanno tutte da un lato, mo lo vedrai. Davanti solo i campi, mica male. Er primo che ha costruito ha messo l’uno e l’altri je so’ andati dietro. E poi nun ce vedi? Semo spaiati come li pedalini. Daje che la via merita, vieni a vivere in Via col vento –

Se bruciasse la città, pag 147

“Se bruciasse la città” è un libro senza particolari difetti, però anche privo di particolari pregi. Una lettura certamente gradevole ma che non mi ha colpita: un romanzo che scorre via senza lasciare molto dopo il suo passaggio.

La storia è una sorta di puzzle perché all’inizio vengono mostrate tutte le caselle scollegata tra loro, frammenti all’apparenza caotici, ma destinati a trovare il loro perfetto incastro dando vita a un quadro chiaro e lineare. Gli elementi presenti nel romanzo sono molti, ma a mio avviso non tutti (soprattutto quelli secondari) gestiti con la medesima cura. Alcuni svolte erano estremamente prevedibili, altre un poco forzate, ma nel complesso il romanzo regge e si lascia leggere con piacere.

Un elemento che mi ha lasciata abbastanza perplessa è stato il ritmo altalenante con cui venivano raccontate determinate vicende. Alcuni punti fondamentali andavano via veloci, troppo veloci… bruciati con un sommario, un semplice elenco di accadimenti; altri al contraio, seppur di minor rilevanza, si prendevano anche troppe pagine.

Nel complesso reputo “Se bruciasse la città” una lettura certamente gradevole, ma anche abbastanza anonima. Ciò che mi ha colpito maggiormente e mi ha permesso di apprezzare il libro sono stati i personaggi, carismatici e perfettamente delineati.

Narrativa, Narrativa biografica, Recensioni del Gatto in Libreria

PRIMO SANGUE, Amélie Nothomb

Recensione di “Primo sangue”

Autrice: Amélie Nothomb

Casa editrice: Voland

Genere: narrativa biografica

Pagine: 117

Prima pubblicazione: 2021

Titolo originale: Premier sang

Gradimento personale: 4/5 ⭐️

Una ventina di minuti fa, quando ho sentito gridare il mio nome, ho capito immediatamente cosa significava. E giuro che ho tirato un sospiro di sollievo. Visto che stavano per uccidermi, non avrei più avuto il dovere di parlare.

Primo sangue, pag. 7

“Primo sangue” è una breve biografia di Patrick Nothomb, padre dell’autrice, nella quale vengono raccontati alcuni sprazzi della sua vita, dai suoi primi anni vissuti assieme ai nonni fino alla fatidica missione diplomatica nel Congo (anticipata nelle pagine d’apertura del romanzo).

Questo è il primo romanzo che leggo di Nothomb, ma parlando con altri suoi lettori fedeli è emerso che forse questo non è stato il migliore da cui iniziare . “Primo sangue”, da quanto ho potuto capire, è un libro molto diverso rispetto agli altri dell’autrice, scritto in memoria del padre defunto (quindi creato più per la scrittrice stessa che per i suoi lettori). Questo bisogno di scrivere per superare il lutto si percepisce molto all’interno del testo creando anche una sorta di disorientamento nel lettore novello (com’è stato nel mio caso), si coglie che lo scopo del romanzo non è raccontare una storia ma il semplice bisogno di raccontare.

Forse non ho scoperto quest’autrice nel suo “stato brado”, ma ciò ho letto mi è piaciuto molto e ho già in programma di esplorare anche altri suoi lavori, come sua prossima opera vorrei leggere “Igiene dell’assassino”, suo esordio del 1992.

Narrativa, Narrativa psicologica, Recensioni del Gatto in Libreria

LUCIO, Raffaele Franciò

Recensione di “Lucio”

Autore: Raffaele Franciò

Illustrazioni: Ste Balza

Casa editrice: bookabook

Genere: narrativa psicologica

Pagine: 144

Prima pubblicazione: 2022

Titolo originale: Lucio

Gradimento personale: 2,5/5 ⭐️

Come può sentirsi un uomo se i suoi ricordi non hanno alcun valore? Se nessuno difende il loro diritto di esistere? Se nessuno ne piange la scomparsa? Cosa mi sarebbe mancato di ciò che era prima? Chi ero? Chi sono?

Lucio, pag. 121

Mi piange davvero il cuore a dover dare 2,5/5 ⭐️ a questo libro visto quanto mi era piaciuto l’esordio dell’autore (mi riferisco a “L’elefante alla porta”) e visto anche quanto attendessi una sua nuova pubblicazione. Purtroppo però questo breve romanzo non è stato all’altezza delle aspettative.

Il libro può tranquillamente dividersi in due blocchi: il primo che racchiude una serie di eventi estremamente caotici, il secondo dove si spiega con fare didascalico tutto ciò che è successo prima.

Il protagonista è Lucio, un uomo privato della sua memoria, confuso e prigioniero di un ambiente non ben definito chiamato Cittadella. L’unico elemento chiaro è che qualcosa non vada, un vago sentore di pericolo annegato dalla confusione, tutto il resto è sfocato e stimola la viva curiosità del lettore. Altri personaggi chiave sono Margherita e Alessandro, ma di loro c’è ben poco da dire: sebbene siano centrali all’intero del libro, restano figure trasparenti e prive di approfondimento.

Circa a metà romanzo, la luce viene accesa all’improvviso e tutto viene spiegato al lettore. Peccato solo che questa narrazione non si amalgami allo stile narrativo utilizzato in precedenza, abbiamo una rottura brutale, tutto viene stravolto e dal totale disorientamento passiamo a uno spiegone vero e proprio. Lo show don’t tell, in questa seconda parte di romanzo, è completamente inesistente: non abbiamo più sotto agli occhi un testo di narrativa, ma un semplice manuale delle istruzioni che ci illustra come vada interpretato il libro. Oltre al modo in cui viene detto tutto ciò (in modo estremamente didascalico) non ho apprezzato nemmeno gli espedienti coi quali ci viengono fornite queste rivelazioni. Lucio passa dall’essere solo e smarrito ad avere la “fortuna” di incontrare proprio le persone giuste, capaci di dirgli le cose giuste e proprio al momento giusto. Per fare un esempio, il protagonista a un certo punto entra in una torre abbandonata e cosa ci trova per pura coincidenza? Un documento che spiega nel dettaglio l’origine e la natura della misteriosa e fantomatica Cittadella…

“Lucio” mi ha dato l’idea di essere un romanzo davvero ricco di potenzialità e originalità, ma la resa finale del testo non è stata in grado di dare giustizia alle ottime premesse. Se dovessi descrivere questo romanzo in pochissime parole, direi che non è assolutamente amalgamato perché le sue varie componenti si sono disperse nella narrazione senza riuscire a dare consistenza al testo.

Purtroppo, le note dolenti non sono ancora finite… anche i personaggi mi hanno profondamente delusa. A parte il protagonista, unico personaggio con cui si riescere a instaurare un rapporto empatico, tutti gli altri mi sono sembrati delle comparse, anche quelli che tutto erano tranne comparse (mi riferisco soprattutto a Margherita e Alessandro). Molto probabilmente questa sensazione è dovuta al fatto che il lettore non scopre i personaggi vedendoli agire direttamente, ma impara a conoscerli sopprattutto attraverso lo spiegone finale che, inevitabilmente, ne va ad appiattire le caratteristiche.

I dialoghi sono un elemento fondamentale in questo romanzo, la maggior parte delle situazioni vengono filtrate dal parlato dei personaggi. L’autore, con la sua scrittura, ha provato a emulare un parlato spontaneo, una scelta decisamente coraggiosa e difficile da rendere… e infatti l’esito ottenuto non è stato dei migliori perché l’effetto finale trasuda artificiosità da ogni virgola. E questo ha certamente penalizzato anche la caratterizzazione dei vari personaggi, come dicevo anche prima.

Sempre parlando di virgole, anche qui purtroppo ho dei commenti da fare. Sono abbastanza sicura che il testo non abbia avuto una revisione bozze e gli errori rimasti sono davvero numerosi. Qui la colpa è dell’editore e non dell’autore, questo è certo, ma tutti i refusi rimasti hanno aggravato le condizioni di un romanzo che già prima non brillava di salute. E gli errori trovati erano molto gravi: E’ al posto di È, note numeriche grandi quanto il testo stesso invece di essere un apice, un apostrofo sbagliato (“un occasione”), e la quasi totale assenze di virgole dove necessarie.

L’ho detto e lo ripeto, mi piange il cuore a scrivere una recensione tanto dura nei confronti di un libro per cui nutrivo grandissime aspettative, ma purtroppo sono molti gli aspetti che non mi hanno convinta. Concludo dicendo solo che spero che il prossimo libro l’autore, che continuo a credere abbia molto talento, possa nuovamente soprendermi con un nuovo romanzo geniale quanto “L’elefante alla porta”.

Narrativa, Recensioni del Gatto in Libreria

UNA VITA COME TANTE, Hanya Yanagihara

Recensione di “Una vita come tante”

Autrice: Hanya Yanagihara

Casa editrice: Sellerio

Genere: narrativa contemporanea

Pagine: 1091

Prima pubblicazione: 2015

Titolo originale: A Little Life

Gradimento personale: 3,5/5 ⭐️

Era una tristezza più grande e profonda, che sembrava voler abbracciare tutte le persone infelici, i miliardi di persone che non conosceva e che si sforzavano di vivere le loro vite; una tristezza mista a stupore e ammirazione per gli sforzi che tutti quegli esseri umani dedicavano a tirare avanti anche quando era così difficile farlo, e le circostanze invitavano solo ad arrendersi. La vita è così triste, pensava in quei momenti. È così triste, eppure continuiamo a viverla, tutti: le restiamo attaccati, tenacemente, cercando qualcuno che ci offra un po’ di sollievo.

Una vita come tante, pag. 940

Prima di iniziare con la recensione, è necessaria una premessa: qualunque cosa si dirà su questo libro non sarai mai abbastanza, ci sarà sempre un qualcosa in più che la recensione (qualunque recensione) non riuscirà a comprendere. Questo perché “Una vita come tante” è un’opera mastodontica incentrata sulla vita di un singolo personaggio e sulle persone a lui più vicine; ogni singolo aspetto di loro viene sviscerato, portato alla luce e lasciato lì al sole ad appassire.

Ma di cosa parla “Una vita come tante”? Cosa viene raccontato in queste 1091 pagine? Il romanzo è incentrato su Jude St. Francis, un uomo incredibilmente capace, intelligente, talentuoso e amabile… o meglio, un uomo che è riuscito a diventare amabile nonostante tutte le torture (e non uso questo termine a caso) che gli ha riservato la vita. Una vita che lo ingabbia, che non riesce quasi a comprendere tanto essa è atroce e l’intero romanzo non è altro che un tentativo da parte di questo personaggio di rielaborare e accettare tutto ciò che ha dovuto subire.

Questo libro è senza alcun dubbio bello, ho apprezzato soprattutto lo stile dell’autrice perché l’ho trovato semplice, ma d’impatto e capace di rendere interessante letteralmente qualsiasi cosa. Certamente è un libro bello da leggere, ma se dovessi descriverlo in poche parole direi che è troppo e in troppi punti. Le due parole chiave in questo romanzo sono crudeltà e ripetizione.

Certe tematiche vengono ripetute e ripetute e ripetute quasi fino all’infinito, allungando a dismisura un libro che, senza di esse, sarebbe stato lungo la metà. Da un lato capisco questo aspetto perché un personaggio complesso e sfaccettato come il protagonista Jude non può rivelarsi (aprirsi al lettore prima ancora che a se stesso) in poche pagine, capisco abbia bisogno del spazio ma dall’altro lato, non posso negare che queste costanti mi hanno molto demotivata come lettrice.

Per quanto riguarda l’aspetto del sadismo, è innegabile che uno degli scopi dell’autrice era cavare fino all’ultima lacrima ai suoi lettori sventurati. Anche qui ho notato un certo eccesso, un eccesso di crudeltà da parte di alcuni personaggi (spesso semplici comparse) che ho trovato ingiustificato, fuori luogo, un extra del quale si poteva fare tranquillamente a meno. Confesso che, invece di rileggere e rileggere degli stessi abusi subiti da Jude, avrei preferito una riflessione in più sul senso della vita di questo personaggio; riflessione che sboccia solo negli ultimi capitoli del romanzo.

Insomma, un bel libro, sì, ma a mio avviso troppo… troppo enfatizzato nei suoi elementi distintivi. Oltre a questo aspetto, un altro elemento che mi ha profondamente delusa è stato il finale che a mio avviso non è riuscito a dare una giusta conclusione a un romanzo capace di tenere impegnato il lettore per mesi.

Consiglierei questo libro? Fosse più breve sì, assolutamente… ma vista la sua mole, il tempo e le energie che richiede sinceramente non saprei dire, ovviamente da un punto di vista strettamente personale, se ne vale la pena. A tratti ho davvero apprezzato questo romanzo, in altri mi ha profondamente delusa; sono certamente felice di aver intrapreso questa lettura, ma tornassi indietro non sono certa che la rifarei.

Narrativa, Narrativa psicologica, Recensioni del Gatto in Libreria

LA SCATOLA DELLE BALLATE MORTE, Ludovica Rovi

Recensione di “La scatola delle ballate morte”

Autrice: Ludovica Rovi

Casa editrice: amazon publishing

Genere: romanzo psicologico, narrativa

Pagine: 201

Prima pubblicazione: 2021

Titolo originale: La scatola delle ballate morte

Gradimento personale: 5/5 ⭐️

Profondi e oscuri quanto fosse oceaniche sono gli abissi della mente. La luce della coscienza non colpisce i loro contenuti ed essi, pur dando forma a un turbine di forze che lottano per venire a galla, rimangono confinati nel fondale più inesplorato di ogni uomo. È lì che regna la notte. L’inconsapevolezza.

La scatola delle ballate morte, pag. 124

Sono abbastanza convinta che “La scatola delle ballate morte” sia il miglior libro d’esordio che abbia mai letto e no, non sto nè esagerndo nè regalando complimenti.

Questo romanzo ha una caratteristica rara, spesso e volentieri evitata come la peste da autori ed editori: è ingannevole. Nella prima metà abbiamo un tipo di libro, nella seconda un altro e la stessa quarta di copertina è fuorviante perchè non ci permette di presagire nulla. Ma non credete che questa ambiguità sia frutto di disattenzione da parte dell’autrice, al contrario rivela una cura maniacale per il dettaglio. Dopo un inizio sereno, gli indizi sbocciano ma con abbastanza modestia da non attiare su di loro l’attenzione… almeno fino all’esplosione definitiva.

Tra salti temporali, sfumature di malinconico romanticismo e panorami nordici, assistiamo a vari personaggi, principali e secondari, che non fanno altro che annegare: chi nella malattia, chi nelle proprie angosce, che nell’egoismo e chi, semplicemente, annega in sè stesso. Volti diversi, caratteri diversi, vite diverse ma tutti con un elemento in comune: l’incapacità di fronteggiare la propria mente.

– C’è una penisola, piccola… fatta totalmente di sabbia. Grenen, la chiamano. Non è difficile da raggiungere. Tanti lo fanno per vedere il mar Baltico e il mare del Nord… contemporaneamente. –

Si allungò una pausa.

– Desidera aggiungere altro? –

– Sì – rispose Liva. – Ricordo bene le onde mentre si scontravano tra di loro. I due mari avevano un colore diverso… e cercavano come di… sopraffarsi a vicenda, di mischiarsi. Era solo acqua e sale, ma nessuno dei due cedeva. Si limitavano a rimanere divisi. Ognuno per sè. –

La scatola delle ballate morte, pag. 174-175

Solitamente gli autori indipendenti vengono visti come scarti, come quelli che “non ce l’hanno fatta”… talvolta questi stereotipi sono innegabilmente veri, ma non è questo il caso. “La scatola delle ballate morte” non è una buccia di patata da buttare, ma la portata principale del cenone di Natale.

L’unico appunto che mi sento di fare riguarda un paio di personaggi secondari (ovvero Sara e la madre di Christoffer) che secondo me sono stati abbandonati troppo presto dalla narrazione, avevano ancora molto da dare a mio avviso. Ma a parte questa minuzia, il libro mi è piaciuto davvero, davvero molto e ho in programma di fare una rilettura.

Tantissimi complimenti a Rovi, spero davvero continui a scrivere perchè il talento è un seme raro e quando lo si trova e un autentico spreco non coltivarlo.

Narrativa, Recensioni del Gatto in Libreria

FRANTUMI, SOGNI E PANORAMI DA CORNICE, Giuseppe Fontana

Recensione di “Frantumi, sogni e panorami da cornice”

Prima pubblicazione: 2021

Autore: Giuseppe Fontana

Genere: narrativa contemporanea italiana

Pagine: 191

Casa editrice: bookabook

Gradimento personale: 4,5/5 ⭐️

Strano come tra un evento eclatante e un altro ci siano tanti momenti lineari fatti di colazioni, pranzi, cene, studio, lavoro o anche noia, tutti talmente tanto uguali da rappresentare quasi uno strato di polvere nella nostra memoria.

Frantumi, sogni e panorami da cornice, pag. 75

Stefano è un tennista giovane, talentuoso e incredibilmente promettente… o almeno, lo era fino al giorno del infortunio che lo costringerà a rivoluzionare la propria esistenza. L’unica particolarità di questo protagonista è l’incredibile sfortuna che lo colpisce nelle prime pagine del romanzo: in poche settimane perde il lavoro, la fidanzata e la possibilità di diventare un atleta professionista. Per il resto, quella di Stefano è la storia di tutti e di nessuno che si svolge fra gli intermezzi di una vita qualsiasi.

Personalmente adoro quei libri che (detto nel peggior modo possibile) “parlano del nulla”, si concentrano sui dettagli più semplici, più genuini e all’apparenza insignificanti. Secondo me sono questi i libri capaci di rappresentare davvero l’uomo e la sua vita, perché altro non sono che un insieme di piccoli dettagli e consuetudini. “Frantumi, sogni e panorami da cornice”, per questa sua caratteristica, mi ha ricordato colossi come “Gli indifferenti” di Moravia (dove l’intero romanzo si svolge nel giro di qualche giorno all’interno delle mura domestiche) e “La peste” di Camus (dove, a parte inizio e conclusione, regna una costante staticità).

In un panorama letterario assetato di adrenalina, colpi di scena (spesso fatti pure male) ed elementi stravaganti per il semplice gusto di esserlo, è un piacere ritrovare un libro che non abbia paura di fermarsi, rallentare e raccontare l’universo che si sviluppa all’interno di una giornata qualsiasi.

Lo stile del romanzo mi è piaciuto molto, l’ho trovato ironico e spigliato, più che ad un libro, sembra di star di fronte a un amico che ti racconta la storia di Stefano. Lo scritto imita il parlato, con le sue espressioni e i suoi ritmi, e può sembrare una banalità questa ma vi assicuro che emulare la lingua parlata senza scadere nella così detta “lista della spesa” non è affatto una missione semplice.

Altro elemento che spicca per originalità e che ho davvero apprezzato è stato il fatto che il narratore non ha nome. Le varie vicende ci vengono raccontate dal miglior amico di Stefano, col suo tono di voce e dalla sua personalità che traspare in ogni espressione: un velo posto davanti ai nostri occhi, una presenza costante eppure invisibile che scompare dietro le vicende che lui stesso racconta.

“Frantumi, sogni e panorami da cornice” non è il libro perfetto per l’amante dell’adrenalina, dell’avventura o del dramma. Questo è il libro perfetto per gli amanti della narrativa nella sua forma più mimetica e quotidiana.

A chi, negli anni, ha cambiato strada. Perché anche la delusione va sfruttata come occasione per crescere.

Giuseppe Fontana nei ringraziamenti del libro